Effetti avversi PPI





Pubblicato da Sabatino Nicola    il 17-04-2018 Visite 1729



Nota AIFA 1

La prescrizione a carico del SSN è limitata:


 

  • alla prevenzione delle complicanze gravi del tratto gastrointestinale superiore

    • in trattamento cronico con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS)

    • in terapia antiaggregante con ASA a basse dosi

  • purché sussista una delle seguenti condizioni di rischio

    • storia di pregresse emorragie digestive o di ulcera peptica non guarita con terapia eradicante

    • concomitante terapia con anticoagulanti o cortisonic

    • età avanzata.

* La prescrizione dell’associazione misoprostolo diclofenac è rimborsata alle condizioni previste dalla Nota 66.

Background

È noto come il trattamento cronico con i FANS possa determinare un aumentato rischio di ulcera peptica e delle sue complicanze gravi (emorragia, perforazione, ostruzione). Il rischio di ospedalizzazione per una complicanza grave è stimato fra l’1 e il 2% per anno, ed aumenta fino a 4-5 volte nelle categorie a rischio specificate nella nota limitativa.

Sulla base di studi clinici randomizzati e osservazionali anche l’uso di anticoagulanti e l’età avanzata (65-75 anni) sono risultate essere condizioni predisponenti al rischio di complicanze gravi del tratto gastrointestinale superiore. Pertanto tali condizioni devono essere considerate fattori suggestivi di popolazioni a maggior rischio ma non raccomandazioni tassative per trattare, ad esempio, tutti gli anziani o tutti coloro che assumono anticoagulanti.

Data la rilevanza clinica della tossicità gastroduodenale indotta dai FANS, numerosi sono stati gli studi che hanno valutato l’efficacia di una “gastroprotezione” utilizzando accanto agli inibitori di pompa anche gli analoghi delle prostaglandine (misoprostolo) e gli anti secretivi (H2 antagonisti).

I pazienti in trattamento combinato, ASA e clopidogrel, per i quali è sconsigliata la somministrazione di un inibitore della pompa protonica, possono effettuare la prevenzione delle complicanze gravi del tratto intestinale superiore con l’assunzione di misoprostolo. In ogni caso debbono essere rispettate le condizioni di rischio nel box sopra riportato.

Evidenze disponibili

Misoprostolo

Risulta ancor oggi l’unico farmaco per il quale esistono dati convincenti che ne dimostrano l’efficacia nel ridurre l’incidenza delle complicanze gravi (emorragie, perforazioni e ostruzione pilorica) della gastropatia da FANS. Lo studio (MUCOSA) di grandi dimensioni (8853 pazienti) ha infatti documentato una riduzione del 40% di dette complicanze rispetto al placebo. Una metanalisi di 24 studi che ha valutato l’efficacia del misoprostolo, non in base alla riduzione delle complicanze ma solo in base alla riduzione dell’incidenza di ulcere gastriche o duodenali diagnosticate endoscopicamente, ha confermato detta efficacia: (NNT = 8) per prevenire un’ulcera gastrica e (NNT = 30) per prevenire un’ulcera duodenale.

Il misoprostolo somministrato alla dose di 800 mg ha però una tollerabilità scarsa (dispepsia, dolore addominale, diarrea) e nello studio mucosa i pazienti che sospendevano il trattamento per disturbi gastrointestinali erano più numerosi fra quelli trattati con misoprostolo più FANS (27,4%) che fra quelli trattati con FANS più placebo (20,1% p<0,001).

Inibitori della pompa protonica

Numerosi studi hanno dimostrato che, nei soggetti trattati con FANS, dosi standard di inibitori della pompa protonica riducono significativamente l’incidenza di ulcere gastriche e duodenali diagnosticate all’endoscopia rispetto al placebo. Due di essi meritano particolare attenzione. Nel primo, l’omeprazolo è stato confrontato con ranitidina e, nel secondo, con misoprostolo in due trial con uguale disegno sperimentale. In tutti e due gli studi (ASTRONAUT e OMNIUM) venivano valutati soggetti che, a seguito della terapia con FANS, presentavano un’ulcera peptica o almeno 10 erosioni gastriche o duodenali. Ciascuno dei due trial esaminava due fasi: a) la guarigione delle lesioni da FANS già presenti; e b) la prevenzione della ricomparsa delle lesioni durante ritrattamento con i FANS. In entrambe le fasi la terapia con omeprazolo si è dimostrata più efficace del farmaco di confronto (rispettivamente, ranitidina e misoprostolo) sia nel guarire le ulcere sia nel prevenire le recidive.

Detti risultati vanno però valutati con prudenza in quanto entrambi gli studi presentano limiti metodologici rilevanti quali: 1) la dimostrazione di maggiore efficacia è basata su parametri surrogati, infatti gli studi hanno utilizzato come “end-point” terapeutico la riduzione del numero di ulcere endoscopiche e dei sintomi dispeptici e non delle complicanze gravi che sono il parametro clinico più rilevante cui mira la profilassi farmacologica: non è cioè la stessa cosa prevenire un’ulcera visibile all’endoscopia routinaria in uno studio clinico e prevenire una complicanza grave (emorragia, perforazione, ostruzione); 2) le dosi utilizzate con i farmaci di riferimento (400 mg/d per il misoprostolo e 300 mg/d per la ranitidina) sono probabilmente inadeguate; infine, 3) è mancata soprattutto un’attenta considerazione alla presenza o meno nei pazienti trattati di un’infezione da Helicobacter pylori (H.pylori). Lo stato di portatore o meno di una tale infezione può, infatti, avere grande rilevanza. Una recente metanalisi condotta su 16 studi dimostra, infatti, in modo convincente come sia l’infezione da H.pylori sia l’impiego di FANS tradizionali possano aumentare il rischio di causare un’ulcera peptica o un sanguinamento gastrico in modo indipendente, avendo un effetto sinergico nell’aggravare il rischio di ulcera peptica e sanguinamento quando entrambi i fattori di rischio sono presenti nello stesso paziente. La superiore efficacia dell’inibitore di pompa rispetto a misoprostolo e a dosi usuali di H2 bloccanti nel prevenire le ulcere da FANS potrebbe cioè essere in parte solo apparente e dovuta a una diversa distribuzione dei pazienti con infezione nella popolazione studiata.

Particolari avvertenze

L’importanza dell’infezione da H.pylori nella strategia di prevenzione del sanguinamento gastrico causato dai Fans tradizionali e dall’ASA a basso dosaggio è dimostrato da uno studio recente che ha rilevato come nei pazienti con infezione da H.pylori e una storia di sanguinamento gastrico, l’eradicazione dell’infezione da H.pylori risulti equivalente all’omeprazolo nel prevenire una recidiva del sanguinamento gastrico nei pazienti che assumono ASA a basse dosi (probabilità di recidiva del sanguinamento a sei mesi 1,9% con eradicazione e 0,9% con omeprazolo). Mentre nei pazienti che assumono naprossene al posto dell’ASA a basse dosi l’inibitore di pompa risulta più efficace della semplice eradicazione (probabilità di recidiva del sanguinamento a 6 mesi 18,8% con l’eradicazione e 4,4% con omeprazolo).

Nei pazienti con storia di sanguinamento gastrico, e che devono continuare una profilassi secondaria con ASA a basse dosi, l’eradicazione dell’infezione probabilmente si pone perciò come strategia profilattica più conveniente della somministrazione di un inibitore di pompa. Non è chiaro se l’eradicazione vada comunque eseguita in tutti i pazienti infetti che fanno uso cronico di FANS tradizionali.

Una metanalisi recente ha dimostrato che il rischio emorragico da ASA impiegato come antiaggregante è assai basso (una emorragia ogni 117 pazienti trattati con 50-162 mg/die di ASA per una durata media di 28 mesi). Pertanto, una gastroprotezione farmacologica generalizzata non è giustificata. I trial considerati nella metanalisi escludevano però i pazienti ad alto rischio emorragico. In mancanza di dati relativi a questi pazienti, se si estrapola ad essi l’aumento di emorragie o ulcere da FANS nei soggetti a rischio (4-5 volte quello di base), la gastroprotezione nei soggetti a rischio emorragico trattati “long-term” con ASA potrebbe essere giustificata specie in presenza dei fattori di rischio più rilevanti (emorragia pregressa e pazienti in trattamento con anticoagulanti e cortisonici). Nei pazienti con infezione da H.pylori risulta indicata l’eradicazione. Non è invece appropriato l’uso di preparazioni “gastroprotette” o tamponate di ASA, che hanno un rischio emorragico non differente da quello dell’ASA standard.

Gli H2-inibitori non sono stati inclusi tra i farmaci indicati per la prevenzione e il trattamento del danno gastrointestinale da FANS perché in dosi standard non riducono significativamente l’incidenza delle ulcere gastriche, che sono le più frequenti fra quelle da FANS anche se hanno efficacia pressoché uguale a quella del misoprostolo sulle ulcere duodenali. Una revisione non sistematica del danno gastrointestinale da FANS non raccomanda gli H2 – inibitori per la prevenzione dei danni gastrointestinali da FANS; li ammette per la terapia delle ulcere previa sospensione dei FANS, ma non se si seguitano i FANS. I dati clinici citati non possono essere applicati ai COXIB.

Va segnalato come in uno studio in pazienti con storia di sanguinamento gastrico recente, il trattamento per sei mesi con omeprazolo più diclofenac si sia dimostrato egualmente efficace rispetto al celecoxib nel prevenire la ricorrenza del sanguinamento gastrico.

Al momento vi sono dati preliminari derivati da un solo RCT di modeste dimensioni che documenta l’efficacia di un inibitore di pompa nel ridurre il danno gastrico da COXIB.

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Nota AIFA 48

La prescrizione a carico del SSN è limitata ai seguenti periodi di trattamento e alle seguenti condizioni:

  • durata di trattamento 4 settimane (occasionalmente 6 settimane)

    • ulcera duodenale o gastrica positive per Helicobacter pylori (H. pylori)

    • per la prima o le prime due settimane in associazione con farmaci eradicanti l’infezione

    • ulcera duodenale o gastrica H. pylori-negativa (primo episodio)

    • malattia da reflusso gastroesofageo con o senza esofagite(primo episodio)

  • durata di trattamento prolungata, da rivalutare dopo un anno

    • sindrome di Zollinger-Ellison

    • ulcera duodenale o gastrica H. pylori-negativa recidivante

    • malattia da reflusso gastroesofageo con o senza esofagite(recidivante)

Background

L’ulcera duodenale è associata a infezione da H. pylori nel 90-95% dei casi e l’ulcera gastrica nel 75-85%.

È stato dimostrato da numerosi trial randomizzati e da metanalisi che l’eradicazione dell’infezione previene le recidive dell’ulcera, riducendole al 5-10% o meno.

L’eradicazione è efficace nei linfomi gastrici H. pylori-positivi a basso grado di malignità.

Il trattamento eradicante è fortemente raccomandato nell’ulcera duodenale e nell’ulcera gastrica, e lo è con particolare enfasi nei soggetti che hanno sofferto un’emorragia da ulcera, per la prevenzione di risanguinamenti.

Evidenze disponibili

Non ci sono prove convincenti di efficacia del trattamento eradicante nella dispepsia non ulcerosa. Dopo gli iniziali risultati contrastanti, infatti, almeno quattro trial pubblicati negli ultimi due anni hanno dato risultati concordanti che dimostrano l’inefficacia della terapia eradicante.

La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), con o senza esofagite, ha tendenza alle recidive, che possono accentuare il danno esofageo ed esitare in metaplasia dell’epitelio a rischio di evoluzione neoplastica (esofago di Barrett). Nei soggetti oltre 45 anni, se la sintomatologia da reflusso è grave, o continua, o recidivante, è fortemente raccomandata l’endoscopia. Per il trattamento della malattia da reflusso, particolarmente se associata ad esofagite, i farmaci più efficaci sono gli inibitori di pompa protonica, che nella maggior parte dei casi sono sufficienti per somministrazione discontinua e/o a dosi ridotte. I dati disponibili sono in prevalenza negativi rispetto a un vantaggio terapeutico dell’eradicazione dell’H. pylori su frequenza e intensità dei disturbi da MRGE. Un piccolo trial, che dimostrerebbe un vantaggio dall’eradicazione nella MRGE senza esofagite grave, presenta manifeste improprietà metodologiche (per es.: valutazione non secondo intention to treat; ogni evidenza di vantaggio è azzerata se i dati sono reinterpretati correttamente). Nella 8a edizione di Clinical Evidence l’eradicazione dell’H. pylori viene giudicata inefficace nel ridurre la frequenza di recidive della MRGE. Infine, anche il Consensus Report di Maastricht 2-2000 cita come consigliabile (“advisable”) l’eradicazione dell’H. pylori nella MRGE, solo nei soggetti che richiedano “profonda soppressione long-term della secrezione gastrica”. Questa posizione sembra dettata dal timore che l’infezione da H. pylori associata ad acido-soppressione da inibitori di pompa protonica possa determinare gastrite atrofica, potenziale causa di carcinoma. Tuttavia, questa eventualità è stata rilevata dopo esposizione inusualmente intensa e protratta ad acido-soppressione (trattamento ininterrotto con 20-40 mg di omeprazolo/die per una durata media di 5 anni) ed è contraddetta da altri studi che impiegavano le stesse dosi di omeprazolo in soggetti con MRGE H. pylori-positivi e non rilevavano né atrofia gastrica né metaplasia.

Particolari avvertenze

Rimane da considerare il teorico vantaggio dell’eradicazione per prevenire l’insorgenza di carcinoma gastrico, per il quale l’infezione da H. pylori è solo uno dei fattori di rischio, insieme alla dieta, all’atrofia della mucosa, all’acquisizione dell’infezione nella prima infanzia, a fattori genetici e ad altri sconosciuti; e non c’è alcun indizio che indichi una riduzione di incidenza dopo eradicazione dell’H. pylori.

Se la MRGE è associata a infezione da H. pylori, l’eradicazione del batterio può essere indicata se il reflusso è associato a ulcera peptica o a gastrite cronica grave istologicamente documentata o se il controllo dei disturbi richiede trattamento ininterrotto con dosi elevate di inibitori di pompa protonica (per es. omeprazolo, dosi pari o superiori a 20 mg/die).

Il trattamento eradicante va effettuato solo nei casi di dispepsia associata a presenza di ulcera gastrica o duodenale.

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Effetti avversi PPI:
http://www.informazionisuifarmaci.it/sicurezza-a-lungo-termine-degli-inibitori-di-pompa-454

Gli inibitori della pompa protonica (PPI) sono in assoluto tra i farmaci più prescritti in Italia, con una spesa SSN territoriale di 849 milioni circa di euro (rapporto Osmed 2008) e nel mondo (con una spesa complessiva stimata relativamente al 2006 di 24 miliardi di dollari).
Sebbene questi farmaci siano in generale considerati sicuri e ne sia stato approvato l’utilizzo a lungo termine, sono stati sollevati alcuni dubbi sulla loro sicurezza quando vengono utilizzati per lunghi periodi di tempo. Negli ultimi anni, potenziali eventi avversi come un aumentato rischio di infezioni respiratorie, infezioni da Clostridium difficile, e più recentemente fratture, sono stati identificati come associati all’uso a lungo termine dei PPI.
Il rischio di sovrautilizzo e/o di utilizzo inappropriato rappresenta una criticità importante per questi farmaci. In effetti, sono molti gli studi che hanno evidenziato un utilizzo eccessivo di questi farmaci sia in pazienti ricoverati che a livello territoriale. E’ stato dimostrato che il 50-60% circa delle prescrizioni in pazienti ospedalizzati non è appropriato.

Effetti indesiderati dei PPI

I PPI generalmente causano pochi effetti indesiderati (i più comuni sono mal di testa, nausea, dolori addominali, costipazione, flatulenza e diarrea), in genere di lieve entità, autolimitanti e non correlati al dosaggio o all’età. Tuttavia, recentemente, si è cominciato a porre maggior attenzione ai rischi connessi all’utilizzo a lungo termine di questi farmaci e sono numerosi gli studi in cui sono stati analizzati i possibili rischi connessi all’utilizzo prolungato dei PPI.

Carenza di Vitamina B12
La vitamina B12 normalmente è ingerita sotto forma di complesso proteico; l’acidità gastrica condiziona la liberazione della vitamina permettendo il legame con la proteina R. Nel duodeno il complesso viene scisso dagli enzimi pancreatici e la vitamina libera si lega al fattore intrinseco e viene poi assorbita nell’intestino tenue. Le evidenze attualmente disponibili sull’associazione tra utilizzo di PPI e carenza di vitamina B12 derivano pressoché totalmente da case reports e studi non randomizzati retrospettivi di piccole dimensioni. Si tratta peraltro di dati non univoci e, dove l’uso a lungo termine di PPI si è associato a una carenza della vitamina, questa è stata di modesta entità e non si è associata a manifestazioni cliniche. In attesa che studi randomizzati di grandi dimensioni dimostrino con certezza che l’assunzione a lungo termine dei PPI si associa ad una riduzione dei livelli di vitamina B12 clinicamente significativa, il monitoraggio dei livelli della vitamina non è raccomandato.

Carenza di Ferro
Il ferro è presente nella dieta in forma eme e non eme. L’assorbimento del ferro non eme aumenta notevolmente con l’acidità gastrica. Molti studi hanno evidenziato che una diminuita secrezione acida gastrica, specialmente se prolungata, può determinare un malassorbimento di ferro clinicamente significativo. Un ridotto assorbimento della forma non eme è stato riportato nei pazienti con acloridria e in diverse condizioni associate a iposecrezione acida (es. resezione gastrica, gastrite atrofica, secondaria a vagotomia).
In uno studio condotto su 109 pazienti con sindrome di Zollinger-Ellison trattati continuativamente per 6 anni con omeprazolo o per 10 anni con altri inibitori della secrezione acida gastrica, non è comparsa alcuna riduzione delle riserve di ferro endogene o carenza di ferro. Di conseguenza, la carenza di ferro secondaria sembra essere più un rischio teorico e il monitoraggio dei livelli di ferro non è necessario. Tuttavia, va sottolineato che la sindrome di Zollinger-Ellison è una condizione rara e questi risultati non possono essere trasferiti a tutti gli utilizzatori di PPI. Sono necessari ulteriori studi sulla sicurezza a lungo termine dei PPI per indicazioni più comuni, come la malattia da reflusso gastroesofageo.

Carenza di calcio e rischio di osteoporosi
La solubilità del calcio è importante per l’assorbimento e l’ambiente acido del tratto gastrointestinale facilita il rilascio di calcio ionizzato dai sali insolubili. Una significativa ipocloridria potrebbe teoricamente causare un malassorbimento di calcio, soprattutto negli anziani. Studi condotti nell’animale e nell’uomo hanno evidenziato che la terapia con PPI potrebbe ridurre l’assorbimento di calcio e la densità ossea. D’altra parte i PPI potrebbero ridurre il riassorbimento osseo per inibizione enzimatica. Sono diversi gli studi che hanno valutato i risultati di questi effetti contrastanti. In uno studio randomizzato, controllato, in doppio cieco, crossover, condotto in donne con più di 65 anni, una settimana di terapia con 20 mg/die di omeprazolo ha ridotto in modo significativo l’assorbimento di calcio. In un altro studio caso-controllo, di grandi dimensioni, condotto in Danimarca, la terapia con PPI nell’anno precedente è stata associata ad un aumentato rischio di fratture (OR per frattura d’anca 1,45) rispetto agli H2-antagonisti (OR 0,69). Anche in un altro studio - caso controllo - ben disegnato si è evidenziato un aumentato rischio di fratture d’anca nei pazienti trattati con PPI per più di 1 anno (OR aggiustata 1,44), soprattutto dove la posologia prescritta prevedeva più di una somministrazione giornaliera. Il rischio era significativamente aumentato nei pazienti trattati a lungo termine con dosaggi elevati (OR aggiustata 2,65; P<0,001).
Non ci sono evidenze sufficienti per raccomandare il monitoraggio di tutti i pazienti in terapia a lungo termine, perché gli studi a supporto dell’associazione tra terapia con PPI e mancanza di calcio hanno il limite di essere retrospettivi, e l’unico studio prospettico è durato 1 settimana. Sulla base delle evidenze attualmente disponibili, non può essere raccomandato il monitoraggio dei pazienti in terapia a lungo termine con PPI per valutare se è presente osteoporosi.

Rischio di infezioni
L’acidità gastrica costituisce una importante difesa nei confronti dei patogeni ingeriti e l’aumento del pH gastrico oltre i valori normali sembra favorire la colonizzazione del tratto gastrointestinale superiore, normalmente sterile. I PPI e gli anti-H2 aumentano il pH gastrico e sembrano avere, inoltre, un’influenza sui leucociti. Questi fattori sembrano contribuire all’aumento segnalato del rischio di infezioni del tratto respiratorio ed enterico, inclusa la diarrea da Clostridium difficile, nei pazienti trattati con questi farmaci.

Infezioni da Clostridium difficile
Recenti studi suggeriscono che sia l’incidenza che la gravità delle diarree da C. difficile nei pazienti ospedalizzati sono in aumento. L’ipotesi che la diminuzione dell’acidità potrebbe essere rilevante per l’acquisizione dell’infezione è biologicamente plausibile, perchè, sebbene le spore siano piuttosto resistenti all’acidità, le forme vegetative sono molto sensibili. D’altra parte, poiché si ritiene che la modalità principale di trasmissione di C. difficile coinvolga le spore, che sono acido resistenti, la plausibilità biologica di un aumento del rischio di diarrea da C. difficile associato alla terapia con inibitori della secrezione acida gastrica è stata messa in discussione. Nelle cavie è stato dimostrato che il 75% delle spore ingerite si trasforma nello stato vegetativo entro 1 ora dall’ingestione, quando hanno già raggiunto l’intestino tenue. È possibile che nell’uomo, se il passaggio di C. difficile alla forma vegetativa avviene mentre le spore sono ancora nello stomaco, la sopravvivenza sia favorita da un elevato pH gastrico. Sono possibili anche altri meccanismi, alcuni mediati dall’effetto diretto della gastrina sulla mucosa, altri sulla funzione immunitaria. I primi studi hanno dimostrato una scarsa correlazione tra le infezioni da C. difficile e l’inibizione della secrezione acida gastrica. In uno studio retrospettivo (126 pazienti) è risultata un’associazione unicamente con l’utilizzo di antibiotici (P=0,0004), nutrizione enterale (P<0,0005) e ipoalbuminemia (P=0,01). Analogamente, in un altro studio è risultata una OR di 0,92 di infezione da C. difficile nei pazienti trattati con PPI. Studi recenti hanno suggerito un’associazione tra C. difficile e terapia con PPI. L’ipocloridria, più comune negli anziani, può contribuire all’elevata incidenza di C. difficile in questo tipo di pazienti. Inoltre, il fatto di bypassare la barriera acida gastrica è compatibile con il riscontro che la nutrizione enterale postpilorica si associa a diarrea da C. difficile con una OR di 11,4 (95% IC 1,3-103,7), mentre la nutrizione prepilorica con una OR di 3,5 (95% IC 0,19-66,5). In uno studio caso-controllo di grandi dimensioni, l’OR aggiustata per la diarrea da C. difficile è stata di 2,9 durante il trattamento con PPI e una recente revisione sistematica ha concluso che la terapia antisecretiva si associa ad un aumento del rischio di infezione (OR cumulativa 1,94; 95% IC 1,37-2,75; OR per PPI: 1,96, 95% IC 1,28-3,00 e OR per gli anti-H2 1,40, 95% IC 0,85-2,29).

Altre infezioni enteriche
L’attività battericida della barriera gastrica sembra dipendere principalmente dal basso pH. Si è suggerito che una prolungata ipocloridria secondaria ad inibizione dell’acidità gastrica rappresenti un fattore di rischio per infezioni gastrointestinali gravi. Dati recenti relativi alla popolazione pediatrica hanno indicato un aumento del rischio di gastroenterite acuta (OR 3,58; 95% IC 1,87-6,86) e polmonite (OR 6,39; 95% IC 1,38-29,70) con l’utilizzo di farmaci che inibiscono la secrezione acida gastrica. Una revisione sistematica ha evidenziato un aumento del rischio di enteriti nei pazienti trattati con inibitori della secrezione acida (OR 2,55, 95% IC 1,53-4,26). Il rischio era maggiore con i PPI, rispetto agli anti-H2.

Polmonite
Nelle unità di terapia intensiva si ricorre spesso alla soppressione della secrezione acida gastrica con antagonisti H2 e PPI come profilassi delle ulcere da stress. Ci si è sempre preoccupati che questo potesse comportare un aumentato rischio d’infezioni del tratto respiratorio, come la polmonite, soprattutto nei pazienti con ventilazione assistita. Vari studi hanno confermato l’associazione tra soppressione acida e polmonite, specialmente in pazienti critici. La profilassi delle ulcere da stress è stata recentemente messa in discussione, in quanto i dati disponibili avrebbero evidenziato che l’uso di inibitori della secrezione acida non riduce il rischio di sanguinamento nei pazienti chirurgici ad alto rischio a fronte invece di un aumento del rischio di infezioni polmonari. Alcuni studi hanno evidenziato un aumento del rischio di diversi tipi di infezioni con la  terapia a lungo termine con PPI. Tuttavia, i risultati devono essere interpretati con cautela perché si tratta di studi retrospettivi e di piccole dimensioni. Sebbene si sia ipotizzato che la soppressione della secrezione acida gastrica sia responsabile dell’aumentato rischio di infezioni, non va dimenticato che nessun PPI mantiene veramente il pH gastrico > 4 per 24 ore, infatti tutti i PPI in commercio somministrati una volta al giorno mantengono il pH gastrico > 4 per 9-15 ore.
Finché non saranno disponibili studi prospettici di grandi dimensioni, il rischio di infezioni di vario genere, in particolare da C. difficile ed altre enteriti, di polmoniti associato all’uso a lungo termine di PPI non può essere stabilito con certezza.

Polipi del fondo gastrico e cancro allo stomaco
I polipi del fondo gastrico sono la forma più comune di poliposi gastrica. Hanno una prevalenza che può arrivare all’1,9% nella popolazione generale e all’84% nei pazienti con poliposi adenomatosa familiare. Sono lesioni benigne; al massimo può essere riscontrato un basso grado di displasia (neoplasia intraepiteliale). Tuttavia, nei soggetti con poliposi adenomatosa familiare, sono stati segnalati casi di polipi del fondo gastrico con displasia grave e che hanno dato origine ad adenocarcinomi gastrici. La potenziale associazione tra poliposi del fondo gastrico e uso dei PPI è da lungo tempo oggetto di dibattito.
Nel 1992 sono stati segnalati 3 casi di poliposi del fondo gastrico sviluppatisi dopo 1 anno di terapia con PPI. Successivamente, da uno studio caso-controllo su pazienti con adenopoliposi familiare è risultato che l’uso di PPI si associa ad un aumentato rischio di displasia dei polipi del fondo gastrico. Gli autori hanno concluso che nei pazienti in trattamento con PPI a lungo termine va monitorato di routine l’eventuale sviluppo di polipi mediante gastroscopia. Da un altro studio caso-controllo su 599 pazienti è emerso che i pazienti trattati per lunghi periodi (> 1 anno) con PPI hanno un rischio più alto di sviluppare polipi del fondo gastrico (OR 2,2; 95% IC 1,3-3,8) rispetto ai pazienti che li assumono per brevi periodi (OR 1,0; 95% IC 0,5-1,8). Lo sviluppo di displasia nei polipi del fondo gastrico durante il trattamento con PPI è un’evenienza rara, nonostante il riscontro di polipi sia frequente. Una soppressione consistente dell’acidità gastrica porta a un’ipergastrinemia in quasi tutti i pazienti. Nei ratti, una prolungata ipergastrinemia come risultato di una soppressione dell’acidità gastrica porta a un’iperplasia delle cellule enterocromaffini, da cui può originare un carcinoide gastrico; questo effetto, però non è mai stato documentato in altre specie. Nell’uomo un’iperplasia diffusa, lineare o micronodulare delle cellule enterocromaffini è stata osservata nel 10-30% degli utilizzatori cronici di PPI. Questo riscontro è più frequente nei pazienti H. pylori positivi con un marcato aumento dei livelli di gastrina. Nei pazienti in terapia a lungo termine con PPI, non sono mai stati descritti displasia o carcinoma invasivo e il trattamento per lunghi periodi non costituisce un’indicazione per il monitoraggio di questi pazienti.
Più recentemente l’interesse si è spostato sui PPI e i cambiamenti associati alla gastrite piuttosto che sull’ipergastrinemia. Dove la secrezione acida è intatta, l’H. pylori colonizza prevalentemente l’antro gastrico; la colonizzazione è associata a gastrite prevalentemente antrale. L’infiammazione della mucosa antrale stimola la secrezione di gastrina che mantiene la produzione acida a livelli normali/elevati, mantenendo l’omeostasi. Nei soggetti in cui la produzione acida per qualsiasi causa, incluso l’uso di PPI, è ridotta, l’H. pylori colonizza anche il corpo gastrico portando ad una gastrite prevalente del corpo dello stomaco. L’infiammazione della mucosa del corpo compromette ulteriormente la secrezione di acido. La compromissione della funzionalità delle cellule parietali che si associa alla gastrite del corpo aumenta l’azione acido-soppressiva dei PPI.
Molti studi hanno evidenziato che una soppressione spinta della secrezione acida si può associare ad una crescita eccessiva di batteri diversi dall’Helicobacter nello stomaco. La crescita batterica è stata associata ad una maggior gravità della gastrite e ad un aumento dei livelli delle citochine. L’importanza clinica di questo dato resta da valutare; in particolare non è noto se la sovracrescita batterica negli utilizzatori di PPI è una conseguenza della gastrite atrofica o è un fattore eziologico favorente. Le conseguenze a lungo termine, in particolare relativamente al rischio di sviluppare cancro gastrico richiedono ulteriori studi, di potenza e durata adeguati. Da un’analisi del database di medicina di base Olandese, che contiene la cartella clinica informatica di oltre 500.000 pazienti, emerge che su 27.328 pazienti con almeno 1 prescrizione di PPI, in 8 anni di follow up 45 hanno sviluppato un cancro gastrico rispetto ai 22 casi su 358.000 soggetti che non hanno usato PPI e sono stati seguiti per almeno 1 anno.
La terapia con PPI influenza lo sviluppo e la gravità della gastrite da H. pylori e accelera la perdita delle ghiandole del corpo dello stomaco. Attualmente non ci sono evidenze che suggeriscono che questo aumenti il rischio di cancro gastrico; ci sono comunque dati limitati che una gastrite persistente del corpo gastrico con atrofia sia un fattore di rischio per lo sviluppo di cancro gastrico. L’eradicazione di H. pylori può parzialmente prevenire o far regredire questo effetto senza compromettere il trattamento della malattia da reflusso. Per questa ragione il gruppo di consenso di Maastricht nel 2005 ha indicato di prendere in considerazione l’eradicazione dell’H. pylori nei pazienti che richiedono una terapia a lungo termine con PPI.

Cancro del colon
L’ipocloridria porta ad un aumento della secrezione di gastrina dall’antro gastrico. La gastrina ha un effetto trofico sul tessuto dell’intero tratto gastrointestinale. Elevati livelli di gastrina si associano alla crescita e proliferazione delle cellule di carcinoma del colon in coltura. Nei pazienti con ipergastrinemia secondaria a sindrome di Zollinger-Ellison è stata dimostrata un’iperplasia della mucosa rettale. I pochi dati disponibili sulla associazione tra trattamento prolungato con PPI e carcinoma del colon provengono da 3 studi caso-controllo, uno dei quali ha riguardato 457.000 pazienti che assumevano PPI. In base ai risultati non emerge alcun aumento del rischio di sviluppare un cancro del colon nei pazienti che fanno uso di questi farmaci, né sulla frequenza, crescita o grado istologico dei polipi adenomatosi.
Di fatto, nonostante esistano presupposti teorici e dati in vitro che suggeriscono la possibilità che elevati livelli di gastrina si associno ad un aumento del rischio di carcinoma del colon retto, non si è evidenziato un aumento clinicamente significativo del rischio di cancro né un effetto sul numero o la dimensione dei polipi.

Conclusioni
I PPI sono farmaci molto efficaci e hanno rivoluzionato l’approccio alla terapia dei disordini legati all’acidità gastrica negli ultimi 2 decenni. L’uso cronico dei PPI sembra avere un elevato margine di sicurezza, ma sono stati sollevati dubbi su possibili rischi legati ad un loro utilizzo a lungo termine. Sebbene parecchi studi abbiano indagato il potenziale effetto della terapia con PPI sull’assorbimento della vitamina B12, non può essere stabilita un’associazione certa e ad oggi il monitoraggio dei livelli di vitamina B12 nei pazienti in terapia a lungo termine con PPI non può essere raccomandato.
Nonostante le considerazioni teoriche, ci sono relativamente pochi dati sull’associazione tra carenza di ferro e trattamento con PPI. Non ci sono evidenze che l’uso di PPI nelle normali condizioni cliniche porti a carenza di ferro e il monitoraggio dei livelli di ferro non è raccomandato. Tuttavia, particolare attenzione dovrebbe essere posta alla prescrizione di PPI in pazienti già sideropenici e in questi casi dovrebbe essere considerata una adeguata supplementazione.
Gli studi che hanno esaminato gli effetti del trattamento con PPI sull’assorbimento del calcio hanno parecchi limiti, incluso l’utilizzo di metodi indiretti per valutare l’assorbimento del calcio e la presenza di condizioni che possono influenzarne il metabolismo, come l’insufficienza renale. Allo stesso modo, l’associazione tra terapia a lungo termine con PPI e aumentato rischio di fratture è scarsamente documentata. Come tutti gli altri farmaci, anche i PPI dovrebbero essere utilizzati per indicazioni e in dosi appropriate. Pertanto non è possibile al momento raccomandare di interrompere la terapia a causa di potenziali rischi di osteoporosi quando questa è appropriata.
Una recente revisione sistematica sui farmaci che inibiscono la secrezione gastrica ha evidenziato un aumentato rischio d’infezioni enteriche, anche da Clostridium difficile. Tuttavia, gli studi sono stati condotti per lo più su pazienti ospedalizzati e una scelta non adeguata dei controlli potrebbe aver contribuito alla discrepanza dei risultati. L’utilizzo di questi farmaci dovrebbe essere sempre valutato con cautela, specialmente nei pazienti ospedalizzati. Per l’aumentato uso dei PPI, l’invecchiamento della popolazione, la preoccupante crescita di patogeni multiresistenti, la ricerca continua in questo settore è fondamentale.
Analogamente, l’aumento teorico del rischio di tumore gastrico o del colon associato all’utilizzo a lungo termine di PPI non ha trovato conferma negli studi randomizzati prospettici e sono necessari ulteriori studi per stabilire con certezza se esiste o meno un’associazione. Fino ad allora, non si può ritenere che i PPI si associno ad un incremento del rischio di tumori maligni.
Comunque è necessario minimizzare l’utilizzo non necessario e inappropriato di questi farmaci per ridurre i potenziali rischi associati e i costi sanitari.

Tradotto ed adattato da :Ali T et al. Long-term safety concerns with Proton Pump Inhibitors. Am J Medicine 2009; 122:896-903.

Informazioni sui Farmaci, Anno 2009, n. 5

Inoltre….. da: https://www.farmacovigilanzasif.org/

Effetti avversi associati ad inibitori di pompa protonica

Eleonora Mocciaro. UOSD Farmacologia clinica. AOU Policlinico “G Martino”, Messina

Di recente sono stati pubblicati articoli relativi al possibile aumento del rischio di sviluppare insufficienza renale sia acuta (1) che cronica (2) osservato a seguito dell’uso di inibitori di pompa protonica (PPI).
È noto anche che questa classe di farmaci può essere associata ad altri effetti indesiderati.
Sulla rivista JAMA Internal Medicine è stato pubblicato un articolo (3) relativo agli effetti indesiderati associati a PPI. Di seguito se ne riporta una sintesi.

Ipomagnesemia
Sulla base di case report, la Food and Drug Administration (FDA) nel 2011 ha pubblicato un avviso inerente il rischio di ipomagnesemia associato a PPI, se assunti per periodi di tempo prolungati (4). Successivamente, una metanalisi di 9 studi osservazionali che ha incluso 109.798 partecipanti ha dimostrato che gli utilizzatori di PPI avevano un rischio 40% più elevato di ipomagnesemia rispetto ai non utilizzatori (5).

Infezione da Clostridium difficile
I PPI riducono l’acidità gastrica, che può favorire la colonizzazione batterica del tratto gastrointestinale, incrementando il rischio di infezione. Una metanalisi (6) che ha incluso 39 studi ha mostrato un rischio più elevato del 74% di sviluppare un’infezione da C. difficile, così come un rischio più elevato di 2,5 volte di infezione ricorrente da C. difficile tra utilizzatori di PPI rispetto ai non utilizzatori. Sulla base di questi dati, l’FDA ha pubblicato un avviso nel 2015 relativo all’associazione tra PPI ed infezione da C. difficile (4).

Polmonite
La riduzione dell’acidità gastrica e l’aumento della colonizzazione batterica nello stomaco correlato ad impiego di PPI possono causare anche incrementati tassi di polmonite. Una metanalisi (7) di 5 studi osservazionali ha mostrato che il rischio di polmonite acquisita in comunità era più elevato del 34% tra pazienti che assumono PPI rispetto a coloro che non li assumono e che il rischio era più elevato incrementando le dosi di PPI. Il rischio di polmonite acquisita in ospedale non era incrementato.
Uno studio di coorte retrospettivo che ha impiegato dati amministrativi ha valutato il rischio di ospedalizzazione per polmonite acquisita in comunità tra oltre 4 milioni di pazienti ai quali erano stati prescritti FANS, in 8 regioni del Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna. Tra i pazienti che avevano iniziato una terapia con PPI (presumibilmente per la prevenzione della dispepsia, dell’ulcera e del sanguinamento), non è stato registrato un incremento del rischio di ospedalizzazione per polmonite acquisita in comunità, rispetto ai non utilizzatori (8). I risultati di questo studio possono essere considerati più affidabili rispetto agli altri studi osservazionali perché la popolazione oggetto di studio è stata ristretta a pazienti senza patologia gastrica o esofagea conosciuta e le analisi sono state aggiustate per i potenziali fattori di confondimento.

Eventi cardiovascolari
I pazienti con malattia coronarica e quelli che hanno subito procedure coronariche sono in genere sottoposti a terapia antiaggregante piastrinica per ridurre il rischio di eventi coronarici. I PPI sono spesso prescritti insieme ad antiaggreganti piastrinici per prevenire il sanguinamento gastrointestinale.
Un agente antiaggregante piastrinico comunemente impiegato è il clopidogrel, che è metabolizzato in forma attiva da enzimi epatici che metabolizzano anche PPI, suggerendo che il metabolismo competitivo di PPI potrebbe portare ad una ridotta attivazione del clopidogrel, ridotti effetti antiaggreganti piastrinici ed incremento di eventi cardiovascolari.
Alcuni studi hanno dimostrato che l’aggiunta di PPI a clopidogrel comporta una ridotta inibizione piastrinica e tali risultati hanno indotto l’FDA nel 2009 a pubblicare un avviso a tal proposito (4,9). Una metanalisi di 31 studi osservazionali (12) ha riportato che i pazienti che impiegavano PPI insieme a clopidogrel avevano un aumento del rischio di circa il 30% di eventi cardiovascolari rispetto ai non utilizzatori di PPI. Tuttavia, nessuno dei 4 trial clinici randomizzati identificati da questa revisione sistematico ha evidenziato un incremento del rischio di eventi coronarici tra pazienti che assumono clopidogrel e trattati con omeprazolo o esomeprazolo (10). Non è ancora chiaro come risolvere questi risultati contrastanti. Gli studi osservazionali sono più ampi degli studi randomizzati e forniscono un’esperienza relativa al “mondo reale”. Tuttavia, gli studi osservazionali sono inclini a bias di selezione e a fattori di confondimento, che sono minimizzati dalla randomizzazione. Complessivamente, non è stata trovata una chiara evidenza che l’uso di PPI incrementi il rischio di eventi coronarici in pazienti che assumono clopidogrel.

Fratture
L’uso di PPI può diminuire la densità ossea e incrementare il rischio di fratture riducendo l’assorbimento intestinale di calcio. Numerosi studi osservazionali hanno evidenziato un’associazione tra utilizzo di PPI e incremento del rischio di fratture. Ciò ha indotto l’FDA a pubblicare un avviso nel 2010 in cui comunicava la possibilità di un incrementato rischio di fratture tra utilizzatori di PPI (4). Una recente metanalisi (11) di 18 studi osservazionali che ha incluso 244.109 fratture ha evidenziato che, rispetto ai non utilizzatori, l’impiego di PPI era associato ad un aumento del 26% del rischio di frattura dell’anca, del 58% del rischio di frattura della colonna vertebrale e del 33% del rischio di frattura in qualsiasi sito, anche dopo utilizzo a breve termine, ossia inferiore ad un anno. 

In sintesi
Gli autori dello studio raccomandano di valutare attentamente i potenziali benefici e i rischi associati all’impiego di PPI. Pertanto, prima di prescriverli, i medici dovrebbero prendere in considerazione un eventuale trattamento alternativo con ani-H2, oltre a suggerire ai pazienti di modificare lo stile di vita.
Mentre in pazienti con reflusso gastrointestinale sintomatico, ulcera e severa dispepsia, i benefici dei PPI probabilmente superano i potenziali rischi, nei casi di sintomi meno gravi e nella prevenzione del sanguinamento in pazienti a basso rischio, i potenziali rischi possono superare i benefici. Un elevato numero di pazienti assume PPI per ragioni poco chiare, spesso sintomi remoti di dispepsia o bruciore di stomaco, che non si sono risolti. In questi pazienti il trattamento con PPI dovrebbe essere interrotto per determinare se è realmente necessario.

Bibliografia

  1. Antoniou T, et al. Proton pump inhibitors and the risk of acute kidney injury in older patients: a population-based cohort study. CMAJ Open 2015; 3: E166-E171.

  2. Lazarus B, et al. Proton pump inhibitor use and the risk of chronic kidney disease. JAMA Intern Med doi:10.1001/jamainternmed.2015.7193.

  3. Schoenfeld AJ, Grady D. Adverse Effects Associated With Proton Pump Inhibitors. JAMA Intern Med 2016; 176: 172-4.

  4. http://www.fda.gov/Drugs/DrugSafety/InformationbyDrugClass/ucm213259.htm

  5. Cheungpasitporn W, et al. Proton pump inhibitors linked to hypomagnesemia: a systematic review and meta-analysis of observational studies. Ren Fail 2015; 37: 1237-1241.

  6. Kwok CS, et al. Risk of Clostridium difficile infection with acid suppressing drugs and antibiotics: meta-analysis. Am J Gastroenterol 2012; 107: 1011-1019.

  7. Eom CS, et al. Use of acid-suppressive drugs and risk of pneumonia: a systematic review and meta-analysis. CMAJ 2011; 183: 310-319.

  8. Filion KB, et al; CNODES Investigators. Proton pump inhibitors and the risk of hospitalisation for community-acquired pneumonia: replicated cohort studies with meta-analysis. Gut 2014; 63: 552-558.

  9. Focks JJ, et al. Concomitant use of clopidogrel and proton pump inhibitors: impact on platelet function and clinical outcome: a systematic review. Heart 2013; 99: 520-527.

  10. Melloni C, et al. Conflicting results between randomized trials and observational studies on the impact of proton pump inhibitors on cardiovascular events when coadministered with dual antiplatelet therapy: systematic review. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2015; 8: 47-55.

  11. Zhou B, et al. Proton-pump inhibitors and risk of fractures: an update meta-analysis [published online October 13, 2015]. Osteoporos Int doi:10.1007/s00198-015-3365-x.

E altri Link...

I pazienti anziani trattati con inibitori di pompa protonica sono a rischio di insufficienza renale acuta?

Rischio di insufficienza renale cronica associato ad inibitori di pompa protonica

Reazioni psichiatriche da inibitori di pompa protonica

Come si è scoperto


 

L'associazione tra inibitori di pompa protonica e insorgenza di disturbi psichiatrici è emersa nella fase di sorveglianza post marketing ed è supportata dalla pubblicazione di alcuni case report.1-S Una casistica riporta tre episodi di confusione mentale dovuta a interazione tra inibitori di pompa protonica e benzodiazepine.1 Un altro studio 2 descrive tre casi relativi a pazienti t